Risarcimento malasanità e consenso informato

risarcimento malasanità e consenso informato

Risarcimento malasanità per danni derivanti da violazione del consenso informato: il punto della Cassazione nelle sentenze San Martino 2019

La Corte di Cassazione, l’11 novembre 2019 ossia nello stesso giorno in cui undici anni fa (2008), in quell’occasione a Sezioni Unite, depositava le famose quattro sentenze gemelle (Cass. SU, 11/11/2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975), ha depositato dieci sentenze con le quali viene affrontato e “codificato” il tema della responsabilità sanitaria e del risarcimento del danno.

Nella sentenza n. 28985 la Suprema Corte entra nel merito del risarcimento malasanità per violazione del consenso informato. La sentenza, infatti, affronta il tema del consenso informato e dei danni risarcibili derivanti da una sua acquisizione errata.

Risarcimento malasanità e consenso informato: i presupposti per il risarcimento del danno

Nell’ambito della responsabilità sanitaria, la terza Sezione della Suprema Corte, nella sentenza n. 28985 sulla quale ci soffermeremo in questo articolo affronta il tema del risarcimento malasanità e consenso informato. Sono prese in esame le diverse fattispecie di danno risarcibile.

Risarcimento malasanità e consenso informato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Un caso di responsabilità sanitaria con richiesta di risarcimento danni per violazione del consenso informato, ha fornito l’impulso affinché la Corte di Cassazione confermasse la posizione assunta dalla Corte d’Appello di Bari che, riformando la sentenza del giudice di prime cure, accertava la responsabilità sanitaria, con conseguente condanna dell’ospedale al risarcimento del danno non patrimoniale per “malasanità” .

L’evento rappresenta l’occasione, per la Suprema Corte, di affrontare la tematica del risarcimento malasanità e consenso informato (2) e dei danni che possono scaturire dalla violazione dello stesso.

Occorre preventivamente precisare come l’assenza di una disciplina normativa all’epoca dei fatti, non rappresenta un’esimente all’operatività del dovere di informazione.

La deficitaria o l’insufficiente informazione, pertanto, costituisce una condotta inadempiente e imprudente da parte del medico su cui incombe l’obbligo di informazione. Ed invero, la disciplina del consenso informato non ha fatto altro che recepire quello che era un dovere informativo già presente nella prassi sanitaria.

Il settore dei trattamenti sanitari volontari è informato al principio della fondamentale autodeterminazione terapeutica, quale manifestazione della libertà di ogni individuo di compiere scelte consapevoli. Esso rappresenta un diritto soggettivo proprio della persona fisica, che decide di sottoporsi, o meno, ad un trattamento sulla base di una scelta libera e consapevole. (3).

A detto principio, si affianca il diritto alla salute, ossia il diritto del soggetto all’integrità psico-fisica (4). Entrambi diritti costituzionalmente garantiti dall’interpretazione degli artt. 2, 13, 32.

Risarcimento malasanità e consenso informato: il diritto di autodeterminazione del paziente e il dovere di informare del medico.

Specularmente al diritto all’autodeterminazione, corrisponde, in capo al medico, l’obbligo di fornire informazioni dettagliate. E’ un obbligo di natura contrattuale che scaturisce dal cosiddetto «contatto sociale» (5). Tale aspetto informativo, quindi, rappresenta l’adempimento del dovere di rendere consapevole il paziente della natura dell’intervento medico.

L’accertata violazione di tale obbligo comporta pertanto il diritto del paziente ad un risarcimento per malasanità.

Seppure la condotta illecita per omessa informazione sia autonoma rispetto a quella inerente al trattamento terapeutico, il rapporto medico-paziente è contraddistinto dalla “unitarietà del rapporto giuridico articolato in una pluralità di obbligazioni”, tra loro divisibili ma connesse strumentalmente.

Anche la sola violazione dell’omessa od insufficiente informazione al paziente, pertanto, costituisce elemento autonomo ed indipendente per la valutazione di un risarcimento del danno.

Risarcimento malasanità e consenso informato: vediamo cosa cambia con la sentenza n. 28985 dell’11 novembre 2019

Risarcimento malasanità

La relazione medico-paziente è spesso caratterizzata da un rapporto fiduciario e, in quanto tale, non paritario. Sul medico ricade quindi l’obbligo di ricondurre tale rapporto ad una situazione di equilibrio. Per questo motivo, il medico dovrà spiegare al paziente ogni aspetto della possibile terapia da intraprendere.

E pertanto, al fine di evitare un risarcimento per errata acquisizione del consenso informato, in particolare, l’informazione fornita dal sanitario dovrà essere:

  1. Chiara. L’informativa del medico dovrà ricorrere ad espressioni fruibili e intelligibili ad un pubblico di inesperti del settore;
  2. Completa. L’informazione deve consentire di comprendere gli effetti e le conseguenze dell’inizio, o del mancato inizio, di una terapia. La completezza attiene alla possibilità di considerare tutte le terapie possibili ed esistenti per raggiungere un determinato scopo. Avendo più possibilità il paziente potrà scegliere la soluzione meno invasiva o personalmente più adeguata;
  3. Tempestiva. L’informativa data in un momento può prospettare determinate soluzioni. L’informativa data in un momento successivo, può condurre invece ad un più ristretto campo di soluzioni. Questa riduzione di possibili soluzioni può condurre a scelte “obbligate”, che non sarebbero state prese in un momento precedentemente.

A fronte di tali caratteristiche, si comprende come il consenso informato rappresenti un valore meritevole di tutela. L’ordinamento, come detto, garantisce il principio dell’autodeterminazione di ogni singolo individuo. Infatti, l’informazione è l’elemento sul quale si forma la volontà di aderire, o meno, ad un determinato trattamento sanitario.

Una condotta che non si attiene ai principi sopra esposti sarà certamente causa di un risarcimento per malasanità dovuta appunto ad un vizio nel consenso informato.

Queste considerazioni costituiscono il punto di partenza del percorso logico effettuato dalla Suprema Corte, ai fini della ricostruzione delle conseguenze legate alla violazione del consenso informato.

La Corte si è posta il seguente interrogativo: quale sarebbe stata la scelta del paziente nel caso in cui avesse avuto una informazione completa e dettagliata?

Tale questione individua due possibili scenari alternativi:

  • Il paziente, validamente informato, avrebbe comunque accettato la terapia. Per cui la successiva lesione al diritto alla salute, o ad altro diritto della personalità (6), potrà essere solo la conseguenza di un’inesattezza o di errori nel trattamento sanitario;
  • Il paziente, validamente informato, avrebbe rifiutato la terapia alla luce delle informazioni ricevute. In questo scenario l’atto medico successivo sarebbe lesivo sia del diritto all’autodeterminazione che del diritto alla salute.

Le possibili conseguenze della violazione del consenso informato

Nell’ambito del risarcimento malasanità per violazione del consenso informato, in base alle precedenti premesse, potranno prospettarsi le seguenti situazioni:

  1. omessa/insufficiente informazione riguardo ad un intervento che arreca un danno per condotta colposa del medico (difetto di diligenza, di accortezza o di competenza tecnica), a cui il paziente avrebbe comunque scelto di sottoporsi. Analizziamo il caso in cui il paziente, anche in presenza di una valida informazione, si sarebbe sottoposto all’intervento. In tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente;
  2. omessa/insufficiente informazione del medico circa un intervento che ha cagionato un danno alla salute, a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. Analizziamo il caso in cui il paziente, correttamente informato, si sarebbe opposto all’intervento. In questo caso il risarcimento del danno riguarda il danno alla salute e il danno al diritto all’autodeterminazione;
  3. omessa/insufficiente informazione che danneggia la salute del paziente a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. Il danno alla salute, successivo al trattamento, è frutto pertanto di una condotta non colposa del medico ossia non vi è stato un errore medico nell’esecuzione del trattamento. Il paziente, tuttavia, se correttamente informato, si sarebbe opposto al trattamento. In questo caso il risarcimento del danno abbraccia il diritto dell’autodeterminazione. Per quanto attiene al danno alla salute, occorre un procedimento di comparazione. Ci si deve chiedere quale e quanto sia stato il peggioramento rispetto alla situazione precedente all’intervento. Il risarcimento incide sulla differenza tra lo stato di salute A, prima dell’intervento, e lo stato di salute B, successivo all’intervento;
  4. omessa informazione in relazione ad un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente ed al quale avrebbe comunque scelto di sottoporsi. In tal caso non sussiste alcun diritto al risarcimento;
  5. l’omessa/insufficiente informazione ha impedito al paziente di venire a conoscenza di trattamenti migliori, più adeguati o meno dolorosi. In tal caso sussiste il risarcimento per violazione del diritto all’autodeterminazione, purché il paziente dimostri di aver subito conseguenze dannose da questa omessa/insufficiente informazione.

Quando è risarcibile il danno

Per conseguire il risarcimento occorrerà dimostrare, oltre al danno patito, l’esistenza di una relazione causa-effetto tra la violazione del diritto e il successivo danno. Affinché il paziente possa ottenere il risarcimento del danno, dovrà dimostrare che esso sia “conseguenza immediata e diretta”, ex art. 1223 c.c. (richiamato dall’art. 2056 c.c. – “Valutazione dei danni”), della condotta omissiva del medico.

Il paziente che contesti una responsabilità del medico dovrà dimostrare il nesso causa-effetto tra inadempimento del medico e danno subito. Il rilievo del nesso causale (7), tra condotta ed evento, si manifesta sulla base dell’oggettiva probabilità e prevedibilità, anche in base alla comune esperienza, che da una determinata azione sarebbero derivate certe conseguenze.

Risarcimento malasanità per violazione del consenso informato: ecco cosa dovrà essere provato dal paziente che ritiene di avere subito un danno.

In particolare, il danneggiato deve dimostrare che l’omessa informazione gli ha impedito di opporsi al trattamento: una corretta informazione avrebbe generato, nel paziente, un rifiuto al trattamento.

In virtù del criterio della “vicinanza della prova”, tale onere incombe sul paziente (8).

In base a tale criterio, l’onere della prova deve essere ripartito, anche in deroga alle generali norme di legge, tenendo conto in concreto della possibilità per l’uno o per l’altro dei contraenti di provare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d’azione, per cui è ragionevole gravare dell’onere probatorio la parte a cui è più vicino il fatto da provare (9).

Il danneggiato dovrà fornire la prova dei fatti che costituiscono il fondamento della propria domanda giudiziale ex art. 2697 c.c. Tale prova potrà essere fornita attraverso ogni mezzo, “ivi compresi il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni, queste ultime fondate, in un rapporto di proporzionalità diretta, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione” (10).

 

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1)     Corte d’Appello di Bari, 28 dicembre 2016, n. 1362.

2)     Sul punto, G. CASUSCELLI, Nozioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2015, V ed., p. 161, per il quale il presupposto dell’autodeterminazione del paziente “è il consenso (valido e informato) o, specularmente, il dissenso (valido e informato) alle cure per qualunque motivazione etica, filosofica, religiosa”. Esso rappresenta “un vero e proprio diritto della persona (che) trova fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost.”; così Cass. pen., Sez. un., 18 dicembre 2008, n. 2437. In materia recentemente è intervenuta la legge n. 219/2017 che tutela, tra gli altri, anche il diritto all’autodeterminazione della persona, per cui “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se non con il consenso libero e informato della persona interessata”, salvo nei casi di trattamenti sanitari obbligatori previsti per legge. Così, A. TRABUCCHI, op. cit., pp. 359-360.

3)     Deve ritenersi, infatti, ormai definitivamente acquisito nella giurisprudenza di legittimità che la manifestazione del consenso del paziente, rappresenta l’espressione dell’autodeterminazione individuale. In Giurisprudenza: Cass. civ., Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18513; Cass. civ., Sez. III, 30 marzo 2011, n. 7237; Cass. civ., Sez. III, 27 novembre 2012, n. 20984; Cass. civ., Sez. III, 15 novembre 2013, n. 25764; Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2015, n. 14642.

4)     Così, Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28985

5)     Sul punto A. TRABUCCHI, op. cit., pp. 1311-1314. Pur mancando una vera relazione di tipo obbligatorio o contrattuale tra le parti si verificano circostanze tali da far ritenere che tra le stesse si possa parlare di una responsabilità di tipo contrattuale. Si pensi per esempio ai casi in cui si sia creato tra le parti una sorta di rapporto contrattuale di fatto: la relazione che si instaura tra il medico e il paziente è di tipo così pregnante che questa intensità di relazione e di comportamento, che viene richiesto al medico sotto il profilo dell’obbligo di protezione della salute del paziente, è tale da poter tener luogo idealmente della mancanza di una fonte contrattuale. In materia è intervenuto il legislatore, prima con legge n. 189/2012, successivamente con la legge n. 24/2017, nella quale la responsabilità del medico è stata espressamente qualificata come responsabilità extracontrattuale. Tale impostazione non è esente da conseguenze sul piano pratico: un regime di responsabilità contrattuale pone il danneggiato in una situazione di maggior favore per quanto attiene l’onere probatorio.

6) Sul punto, A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, CEDAM, Milano, 2019, XLIX ed., p. 1348. Il danno biologico viene inteso come “lesione dell’integrità psico-fisica in sé e per sé considerata”. Grazie a tale voce di danno si risarcisce la lesione fisica “a prescindere dagli effetti pregiudizievoli di natura patrimoniale”. In tale voce di danno sono ricompresi, per esempio, i danni estetici e i danni “riduzione della capacità lavorativa generica”.

7) La Suprema Corte ha affermato che il concetto di causalità in sede civile non coincide con quello operante in sede penale. La causalità civile ordinaria, quale giudizio ex ante, si attesta sul versante della “probabilità relativa (o variabile), caratterizzata dall’accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale (…): la causalità civile, in definitiva, obbedisce alla logica del più che probabile che non”. Così, A. TRABUCCHI, op. cit., p. 1319.

8) Questa soluzione è confermata dalla impostazione legislativa dettata con legge 8 marzo 2017, n. 24, nella quale la responsabilità del medico è stata espressamente qualificata come responsabilità extracontrattuale. La scelta del legislatore ha un preciso risvolto processuale: il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità è di 5 anni per l’illecito extracontrattuale.

9) In Giurisprudenza, Cass. civ., Sez. VI, 9 gennaio 2020, n. 297.

10) Così, Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28985.

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