Risarcimento per errore medico: il danno da perdita della capacità lavorativa

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Risarcimento errore medico: il danno da perdita capacità lavorativa è una delle possibili voci risarcitorie

Nel presente articolo parleremo del risarcimento del danno da errore medico ed in particolare del danno patrimoniale quale quello che si determina nel caso in cui il danno alla salute conseguente ad un episodio di malasanità produca una riduzione della capacità lavorativa del  paziente danneggiato o, peggio, gli impedisca di riprendere il lavoro.

Dopo avere affrontato il tema del risarcimento del danno per malasanità e delle modalità per richiederlo, ci soffermeremo sul danno da perdita della capacità di lavoro in quanto questa voce di danno, molto spesso, può dare diritto ad un risarcimento economico di entità maggiore rispetto a quello direttamente ascrivibile al danno alla salute. Per tale ragione, nell’attività di verifica delle voci di danno risarcibili spettanti al paziente danneggiato, non dovrà mai essere omessa anche una valutazione degli eventuali riflessi patrimoniali della menomazione riportata dal paziente danneggiato per errore medico.

Risarcimento errore medico: danno patrimoniale e non patrimoniale

Il danno risarcibile a seguito di un errore medico può essere rappresentato dal danno patrimoniale e non patrimoniale.

Il danno non patrimoniale può essere considerato come la lesione di un diritto, previsto dalla legge o costituzionalmente protetto, da cui deriva una ingiusta sofferenza psico-fisica, mentre il danno patrimoniale si riferisce alla sfera economica di un soggetto. Per esempio, in situazioni di errore medico, il danno patrimoniale può  essere rappresentato da tutte le spese economiche sostenute in conseguenza dell’evento lesivo (per esempio: spese mediche per medicinali, visite e terapie), nonché di tutte le mancate entrate legate all’errore medico (per esempio: giorni di permesso/assenza da lavoro, compromissione della capacità lavorativa e calo reddituale)

Nei casi di malasanità, pertanto, le conseguenze dell’errore medico potrebbero non esaurirsi nella lesione, oggettivamente apprezzabile, del bene salute. Il pregiudizio alla preesistente integrità psico-fisica del paziente danneggiato (danno non patrimoniale), infatti, potrebbe  incidere negativamente anche nella sua sfera patrimoniale.

Nel presente articolo, affronteremo la tematica della risarcibilità della perdita di capacità lavorativa generica e specifica, derivante da casi di malasanità.

La perdita di capacità lavorativa

La perdita di capacità lavorativa, come anticipato, rappresenta un’espressione che racchiude in sé tutti quei casi in cui il paziente, danneggiato da errore medico, non sia più in grado di attendere alle mansioni lavorative oppure abbia riportato una riduzione di tale capacità.

Quando si parla di perdita della capacità lavorativa si intende l’idoneità del soggetto di produrre reddito. Occorre in questi casi distinguere tra perdita della capacità lavorativa generica e perdita della capacità lavorativa specifica.

Per capacità lavorativa generica si intende l’attitudine del soggetto di svolgere qualsiasi lavoro, anche diverso dal proprio ma confacente con le proprie attitudini ovvero con le sue potenzialità occupazionali derivanti, ad es., dalla sua preparazione culturale e da precedenti esperienze lavorative e formative.

Per capacità lavorativa specifica, invece, si intende l’idoneità del soggetto a svolgere la propria occupazione. Nei casi di perdita di capacità lavorativa specifica si sottolinea l’incidenza negativa dell’evento rispetto alla prosecuzione di una determinata attività lavorativa, successivamente ad uno specifico percorso di studi oppure frutto di anni di specializzazione tecnico/pratica.

Volendo fare un esempio concreto, è possibile evidenziare come il violinista che subisca un danno da malasanità alla propria mano potrebbe riportare una perdita di capacità lavorativa generica modesta o nulla, mentre vedrebbe pregiudicata o gravemente compromessa la propria capacità di proseguire l’attività di musicista. In questo tipico esempio, si vede come una menomazione anche di non particolare rilevanza, potrebbe condurre ad un risarcimento anche elevato nel caso in cui la stessa incida sfavorevolmente sulla sfera reddituale del danneggiato.

Nel calcolo del risarcimento per errore medico, dovrà pertanto essere sempre verificata l’eventuale incidenza del pregiudizio psico-fisico conseguente a responsabilità sanitaria sulla possibilità di svolgere un’attività lavorativa in futuro e/o di proseguire quella già intrapresa.

Il tema della perdita di capacità lavorativa presenta anche un ulteriore aspetto da prendere in considerazione. Il medico legale chiamato a valutare le conseguenze della menomazione riportata dal paziente danneggiato potrebbe infatti non evidenziare una incidenza della menomazione sulla capacità lavorativa specifica ma rilevare esclusivamente una maggiore usura, fatica e difficoltà del danneggiato nello svolgimento dell’attività di lavoro. Si parla in questi casi di danno alla “cenestesi lavorativa che non si risolve in una perdita patrimoniale.

Il lavoratore, infatti, potrà continuare a svolgere la propria attività lavorativa, seppure con maggiori sforzi e difficoltà, con conseguente sofferenza ed esposizione ad una più grave usura. Questo tipo di danno,  afferendo alla sfera biologica del soggetto, andrà liquidato nell’alveo del danno non patrimoniale

Per l’importanza economica che questo tipo di valutazioni può avere, è  consigliabile premunirsi di una solida perizia medico-legale di parte che sappia inquadrare e valutare al meglio tutti gli aspetti summenzionati, pena la possibilità di pregiudicare una parte anche cospicua del risarcimento per errore medico.

Ricapitolando, in caso di danno da errore medico, per una corretta quantificazione del risarcimento, dovrà essere verificato se oltre al danno alla salute si sia determinata una delle seguenti ipotesi:

  • Perdita del rapporto di lavoro e/o impossibilità di svolgere la precedente attività svolta in conseguenza dell’ingiusto danno patito;
  • Perdita dell’impiego/attività svolta, con possibilità di svolgere un impiego diverso;
  • Prosecuzione della precedente attività svolta, ma con maggior sofferenza nell’esercitarla.

Proseguendo nell’articolo vedremo tutele e rimedi per ognuna delle 3 ipotesi prospettate.

La prova della perdita di capacità lavorativa

Individuato il perimetro della perdita di capacità lavorativa, procediamo nell’esporre quale sia l’orientamento dei tribunali su tale voce di danno, quali siano i requisiti e gli elementi da valorizzare al fine di poter ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento di questa voce di danno.

In particolare, per quanto attiene la perdita di capacità lavorativa specifica, il grado di invalidità permanente all’integrità psico-fisica, derivante da errata gestione clinico/assistenziale, non si riflette automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica. Non siamo in presenza di automatismi.

Ogni danno esposto dovrà trovare riscontro in una puntuale dimostrazione dei fatti. Per ottenere la liquidazione del danno patrimoniale futuro, anche tramite criteri presuntivi, il danneggiato, infatti, dovrà supportare la richiesta risarcitoria con elementi idonei ad esibire la prova del pregresso ed effettivo svolgimento di una determinata attività economica, oppure del possesso di una qualificazione professionale acquisita seppur non ancora esercitata (Corte d’Appello Lecce, Sez. I, 6 maggio 2021, n. 561).

Il diritto al risarcimento sussiste solo se l’invalidità abbia prodotto una effettiva riduzione della capacità lavorativa specifica. A tal fine, il danneggiato è tenuto a dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere, al momento dell’infortunio, una attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo di esso, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali (Corte d’Appello Bari, Sez. III, 9 luglio 2020, n. 899).

In sintesi, è difficile che venga accolta una domanda qualora non siano specificati gli elementi a supporto della perdita economica subita in conseguenza del danno derivante da malasanità.

Infine, è possibile riconoscere un danno patrimoniale da incapacità lavorativa permanente anche ad un soggetto disoccupato al momento dell’evento di malasanità, qualora i postumi delle lesioni siano tali da comportare la perdita o la riduzione del verosimile reddito che, continuando a proporsi sul mercato del lavoro, avrebbe alla fine conseguito secondo le proprie capacità (Cass. civ., Sez. III, 4 novembre 2020, n. 24481).

A tal proposito, il danno da perdita o riduzione della capacità lavorativa di un soggetto adulto che, al momento della vicenda di malasanità, non svolgeva alcun lavoro remunerato, va liquidato stabilendo:

  • in primo luogo, se possa ritenersi che la vittima, se fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale;
  • in secondo luogo, se i postumi residuati all’infortunio consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo professionale della vittima (Cass. civ., Sez. III, 26 maggio 2020, n. 9682).

La quantificazione del danno da perdita di capacità lavorativa

Avevamo già affrontato in un precedente articolo le modalità di calcolo del risarcimento del danno da errore medico. A questo punto, per capire come si calcola il risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa possiamo riprendere le 3 ipotesi precedentemente citate.

  • Perdita del rapporto di lavoro e/o impossibilità di svolgere la precedente attività svolta in conseguenza dell’ingiusto danno patito. Laddove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro, a causa dell’evento di malasanità, il danno patrimoniale da lucro cessante (mancato guadagno), inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale. Quindi, il risarcimento non andrà in considerazione della sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica. Tuttavia, in caso di reperimento di una nuova occupazione retributiva, il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione (Cass. civ., Sez. III, 9 dicembre 2020, n. 28071).
  • Perdita dell’impiego/attività svolta, con possibilità di svolgere un impiego diverso. In tal caso il risarcimento del danno attiene all’eventuale differenza retributiva tra il precedente impiego e la nuova attività esercitata. Pertanto, in assenza di differenze retributive non potrà essere riconosciuto alcun danno ulteriore, rispetto a quello liquidato per il danno biologico subito.
  • Svolgimento di un’attività lavorativa e/o prosecuzione della precedente attività svolta, ma con maggior sofferenza nell’esercitarla. In questo caso, il danno che abbiamo definito da “cenestesi lavorativa”, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, costituisce una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo, che pertanto va liquidato unitariamente al danno biologico subito, cui potrà influire quale aspetto di personalizzazione del danno. Pertanto, per poter conseguire il risarcimento, occorre dimostrare che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico. Invero, anche se tale prova può essere anche presuntiva, la riduzione della capacità di guadagno deve essere dimostrata in termini di sufficiente certezza ed il danneggiato ha l’onere di provare come ed in quale misura la menomazione fisica abbia inciso ed incida sulla capacità di guadagno. Infatti, secondo la Suprema Corte, il danno da lesione della cenestesi lavorativa rappresenta la compromissione della sensazione di benessere connessa allo svolgimento del proprio lavoro. Il danneggiamento della cenestesi lavorativa si presterà, di regola, a essere risarcito attraverso un appesantimento del risarcimento del danno biologico, in via di personalizzazione, cioè, a meno che la maggiore usura, la maggiore penosità del lavoro non determinino la eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, caso in cui il pregiudizio andrà risarcito come danno patrimoniale (Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28988).

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